“Il fascino e il pericolo del Jeans oggi stanno nella sua universalità, nell’essere un pezzo molto evidente di cultura planetaria che ci portiamo appiccicati al corpo: un significante universale perché ha attraversato tutti i significati.”
Ugo Volli
Nella complessa interazione tra moda, arte e società, pochi capi d’abbigliamento raccontano una storia tanto sfaccettata dell’umanità quanto il Jeans. La grande fascinazione suscitata dall’abito della “civiltà planetaria” è la sua imprendibilità. Il suo essere una sorta di pura energia cinetica che si dispiega autonomamente dalla dinamica del tempo. Di tempo in tempo, di luogo in luogo il Jeans è stato un segno forte, capace di rappresentare di volta in volta immaginari diversi, per poi, qualche anno o qualche chilometro più in là, mutarli.
Partendo da queste riflessioni, si sviluppa la mostra Jeans. Blu quasi trasparente, una esposizione inclusiva, sostenibile e aperta alla contaminazione delle culture che intesse opere di artisti mid-career di fama internazionale, collettivi di artisti emergenti, archivi e collezioni di moda e della fotografia: un vero e proprio viaggio inedito nelle trame e nella storia del Jeans. Scandito da parole chiave, il percorso presenta opere d’arte contemporanea la cui anima e pelle sono di Jeans, in dialogo con capi storici provenienti dalla preziosa collezione privata di Elleti Group Srl, unica nel suo genere, e con materiale dell’Archivio FSE, il Fondo Cotonificio Legler. Il percorso in mostra parte dalle ORIGINI: il Jeans come simbolo dei workers, qui rappresentato da un paio di Jeans “Boss of the Road” di un cercatore d’oro del Wild West di fine Ottocento, dialoga con Adamo ed Eva, due opere di Afran, artista camerunense basato in Italia. Sono entrambi vestiti di Jeans, dopo aver compiuto il primo affronto, l’assaggio della mela, nella storia dell’umanità.
Nella seconda sala ha inizio la prima metamorfosi del Jeans: da abbigliamento emblema dell’onestà del duro lavoro a divisa della RIBELLIONE, incarnazione del sé oltre gli “schemi di vita”. Qui un “Prisoners of War” della Seconda Guerra Mondiale fattosi reale nei suoi “Blue Bell PW” Jeans combatte le sue battaglie affiancato da un’inquieta Blue Panther, omaggio di Afran a Martin Luther King. Alle spalle c’è lo scenario del Gold Rush, la febbre dell’oro senza tempo, nemico condiviso.
Qualche sala più avanti dei “Jeans Lot 701” degli anni ’30, tra i primi Western Jeans femminili, ci ricordano i sovvertimenti, gli EPICENTRI SISMICI di una società che da tradizionalista si avvia ad accogliere i mutamenti in atto. Accanto un omaggio di Renato Corsini allo scatto di Oliviero Toscani per la pubblicità del 1973 del brand Jesus Jeans, prestito della Cavallerizza, Centro della fotografia italiana di Brescia. Il fondoschiena di Donna Jordan – musa di Andy Warhol e allora compagna di Oliviero Toscani – meravigliosamente incorniciato da un paio di hot pants è sottotitolato dallo slogan “Chi mi ama, mi segua”. L’accostamento e il contrasto di frasi ora appartenenti all’area semantica “sacra” a fotografie chiaramente provocatorie e di rimando “profano” hanno un effetto esplosivo. È Pier Paolo Pasolini, sulle righe del “Corriere della Sera” del tempo a spiegarcelo: è il nuovo spirito della seconda rivoluzione industriale, anticipatore dei valori che stanno mutando. Il tempo cambia, ma il Jeans non muore mai, tutt’al più invecchia integrando in sé l’evolvere del tempo. Così, l’artista bresciano Federico Brognoli con la sua opera Epicentro del Blu, un omaggio al rivetto brevettato da Levi Strauss nel 1873 per rinforzare i punti di maggiore trazione, prova a ricordarci il rapporto privilegiato che il Jeans spartisce con la percezione della durata: la resiste e la supera, impregnandosi dell’avventura e della vita di chi li indossa.
Ogni lavaggio è una pagina girata, il tempo vi scrive la sua memoria su uno sfondo sempre più pallido. E le MEMORIE sospese sono ben raccontate dall’installazione …e se poi ti dimentico? di Giulio Morini e dalla messa in scena in paesaggi onirici, negli SCONFINAMENTI di un’umanità assente a sé stessa e teatralizzata da Vanni Cuoghi nelle sue tele.
OLTRE IL TEMPO e oltre il segno: i teli di denim dell’Archivio FSE, fondo del cotonificio Legler, come un mare in tempesta ci riportano alla sostanza delle cose: i Jeans, da abito per i minatori, diventano simbolo di “un’umanità immaginaria” o immaginata. Una umanità universale come quella raccontata da Xhenifer Jaupi, tra le artiste del collettivo Lower Manhattan, nel suo video Universale e planetario; una umanità atemporale e scolorita, ma ancora viva e pulsante, come suggerito da Michele Battagliola, dei Lower Manhattan, in Denim d’Usine. Una umanità corale come quella radunata da Informagiovani con la Open Call: il mio Jeans simbolo della CIVILTÀ PLANETARIA che abita il MO.CA.
Ciò che manca al Jeans, va detto, non è solo il senso della fine, ma anche e soprattutto il senso della finalità: la pretesa di poter conoscere prima del suo raggiungimento la meta del nostro “essere in cammino”. Nella sua materia il Jeans non anticipa ciò che succederà, semplicemente dà sostanza ai contorni indefiniti di una visione, di ciò che non è ancora reale, visibile all’occhio. E che solo I VISIONARI possono vedere. Come Laocoonte, il sacerdote cantato da Virgilio nell’Eneide, qui fatto vivo nelle trame di Jeans con cui Afran lo riveste e fatto gesta nel video della performance Come il Jeans veste il corpo, così il corpo veste il Jeans di Arianna Lecci dei Lower Manhattan. Il Jeans, qui, nella sua versione contemporanea e maneggiato abilmente dagli artisti acquisisce un potere di divinazione concentrato sui domini più misteriosi della rêverie umana. LE ORIGINI, LA RIBELLIONE, MEMORIE, EPICENTRI SISMICI, LA CIVILTÀ PLANETARIA, SCONFINAMENTI, I VISIONARI, OLTRE IL TEMPO: le visioni si fanno reali e le parole fili del racconto nelle mani di Viva Vittoria OdV: parole che chiudono il percorso della mostra a ricordarci, parafrasando Henri Focillon, “che la mano lavora anche nello spirito”.
Jeans. Blu quasi trasparente.